lunedì 30 luglio 2012

Campo di Libera 2012 - "...fine campo mai"



Questo post non lo scrivo io, ma una mia omonima, Giovanna di Milano che ha raccontato con il cuore la conclusione del Campo, lascio a lei commentare, a lei che ha trovato le parole.

"tutti in cerchio intorno al monumento dedicato a Gianluca
Si è concluso il campo E!State Liberi 2012 al Don Milani dedicato a Gianluca Congiusta.
Lo abbiamo voluto chiudere nel posto dove a Gianluca è stata strappata la vita, alla stele che c’è in suo ricordo a Siderno.
Mentre in questi giorni sul bene confiscato con zappa, rastrello e pale abbiamo tolto l’erba cattiva è a lui che abbiamo pensato, a Gianluca e alle altre vittime della mafia. E allora dove non arrivava la pala o la zappa ci siamo messi con le mani a strappare le radici di quello che c’era prima sul bene confiscato a Rocco Schirripa, che ora invece si chiama “villa milani” ed è diventato casa nostra.  E ci siamo messi anche col cuore a cercare di strappare da noi e da chi ci stava vicino pregiudizi, convinzioni sbagliate e resistenze.
Gianluca, Lollò, Rocco, Vincenzo, Giuseppe, Celestino… ci hanno aiutato loro a vincere le nostre resistenze, come ci hanno aiutato i loro cari, prendendoci per mano ed accompagnandoci in questi giorni, ci hanno aiutato Luca, Francesco, Salvatore, Mimmo, Elga, Sonia e Luigi con il loro esempio ed il loro lavoro ogni giorno al Don Milani e ci hanno aiutato tutte le persone che abbiamo incontrato durante il cammino con le loro testimonianze.
E’ con tutto questo nel cuore che siamo arrivati alla stele a Siderno, già emozionati.
Ci aspettavano lì, Mario e Donatella, il maggiolino giallo con il sorriso di Gianluca e poi Paola, Alessandro e il legale e amico della famiglia Congiusta.
Ci siamo presi tutti per mano e messi in cerchio, ad abbracciare quel luogo, ad abbracciare quello che rappresenta e il dolore di Mario, Donatella, Alessandra e Roberta.
Lo abbiamo fatto in silenzio, davanti alle macchine che ci sfilavano accanto.
Qualcuno insistentemente e con aria di sfida, qualcun altro si è fermato solo un istante per farsi il segno della croce e salutare Gianluca. E noi siamo rimasti lì, davanti a chi partecipava con noi al ricordo, ma anche e soprattutto davanti a chi ci stava sfidando, passando e ripassandoci accanto. Noi ci siamo e non abbiamo paura, l’ho detto a Donatella stringendole la mano un po’ più forte.
Non ci sono stati grandi discorsi, chi ha voluto ha detto un suo pensiero, ma ai più l’emozione ha impedito di parlare. Ci siamo tenuti stretti, guardando lo stesso punto, non riuscendo più a trattenere le lacrime che scivolavano giù silenziose dietro agli occhiali da sole.
E dentro quelle lacrime c’era tutto. Il dolore, la memoria, la stanchezza, la rabbia, il desiderio che il campo non finisca, la speranza di non perderci di vista… e poi quello che ognuno di noi ci ha messo di suo. Qualcuno si è rinnamorato della propria terra, qualcuno ha sentito che la sua vita è cambiata, qualcun altro che d’ora in poi non potrà più fare finta di niente, qualcuno ancora la paura di perdere tutto quello che di meraviglioso ha incontrato, o rincontrato, durante questo campo.
Per un istante ho provato a guardarci da fuori, 23 persone con le magliette uguali, che si tengono per mano attorno ad una stele e piangono. Se ridotto al semplice gesto sembrerebbe ridicolo.
A nessuno è venuto da ridere però.
Dopo diversi minuti Mario ci ha chiesto se avevamo voglia di far arrivare un applauso fino al cielo.
E finalmente abbiamo potuto farci sentire, che in molti durante quei minuti di silenzio avrebbero voluto gridare non riuscendoci. E così è partito un applauso lungo, denso, sentito.
Parte come uno scoppio, come una risata, liberatorio. E poi piano piano le mani iniziano a battere tutte allo stesso ritmo, come se stessimo cantando tutti una stessa canzone, sono le corde delle stesse emozioni che si stanno muovendo in ognuno di noi.
E’ un applauso che ci libera e ci avvicina, ci rende una cosa sola.
Un applauso che ha lo stesso suono dei colpi di pistola con cui la ‘ndrangheta uccide, un colpo secco, poi un altro, poi un altro ancora… i nostri colpi però vogliono riportare in vita, con il ricordo e l’impegno, ogni vittima di quelle che i loro ci hanno ucciso.
Quando dopo tantissimo l’applauso finisce  ci ritroviamo tutti vicini, commossi e percorsi da mille emozioni.
Qualcuno si abbraccia, qualcun altro si unisce a quell’abbraccio e da 2 a 3 a 4 diventiamo in tanti lì, in un unico grande abbraccio, invitiamo ad unirsi a noi chi è rimasto fuori ed è così che ci siamo ritrovati, tutti, a stringerci forte, a piangerci sulle spalle, a sorridere, stretti cuore contro cuore.
Se ci fosse stata una colonna sonora per quel momento sono sicura che “Urlando contro il cielo” di Ligabue sarebbe stata perfetta… “IL PATTO E’ STRINGERCI DI PIU’, PRIMA DI PERDERCI, FORSE CI SENTONO LASSU, E’ UN PO’ COME SPUTARE VIA IL VELENO, URLANDO CONTRO IL CIELO…”
Ora siamo davvero tutti senza maschere, con il cuore allo scoperto, ci sentiamo fragili, è difficile parlare, ma certe cose di parole non hanno bisogno. Meglio agire.
Allora ci siamo presi per mano, e insieme a Mario ci siamo incamminati sul corso principale di Siderno, diretti alla gelateria.
Mario con la sua maglietta rossa e noi con le nostre azzurre, una specie di bellissimo corteo, il quarto stadio dell’antimafia. Ci hanno visto, ci hanno sentito, e soprattutto hanno visto ciò che volevamo dirgli. Noi siamo con Mario e la sua famiglia, siamo con Deborah, Stefania, Con i coniugi Fava, con i Tizian, siamo con il Don Milani e con chi ogni giorno su questo territorio lotta per la legalità e la giustizia. Ho provato una particolare soddisfazione quando il nostro piccolo corteo è passato sotto la sede di un giornale, con cui spesso ho avuto da ridire durante questi ultimi mesi, ho pensato che mentre loro dall’alto sparano sentenze e fango su chi la lotta alla mafia la fa davvero, noi eravamo concretamente vicini a Mario nel suo cammino, noi ci siamo sporcati le mani e abbiamo lavorato al bene confiscato, noi abbiamo davvero fatto qualcosa. Le chiacchere servono a poco e perdono subito valore davanti al peso dei fatti.
Le persone ci sorridono, alcune chi chiedono chi siamo, altre ci guardano male. A noi poco importa, siamo troppo orgogliosi di camminare li insieme a Mario davanti a tutti per abbassare lo sguardo anche solo un istante.
La serata poi è finita al Don Milani, con una grande, e come al solito buonissima, cena, con balli, canti e scherzi. Ci siamo fatti foto buffe seduti sui sanitari che abbiamo comprato per “villa milani”, la vita di questo bene confiscato parte da qui, dal lavoro di tanti mesi del Don Milani per ottenerlo, da quello nostro di questi giorni per ripulirlo e dagli autografi sul primo wc. Ci sono progetti bellissimi per questo bene confiscato, e noi che lo abbiamo visto nascere non vediamo l’ora di vederlo crescere e diventare una realtà grande. Lo accompagneremo per quanto ci sarà possibile, è casa di tutti noi.
Il campo non finisce qui, è un arrivederci, ne sono sicura, torneremo presto.
 Liberi."
Giovanna Arcolacci

lunedì 23 luglio 2012

Gioiosa Jonica - Campo di Libera 2012. Marcia della Memoria

...come si fa ad essere tristi in un luogo che porta questo nome? Una evidente provocazione, pensi alla Locride e automaticamente l'associ con la 'ndrangheta, il pizzo, i morti ammazzati, l'illegalità imperante e diffusa, i sequestri e l'Aspromonte tristemente famoso, il traffico di droga e di clandestini, la prostituzione ...

Che tristezza... come può la gente vivere con tutto questo?

La prima sera che sono arrivata al centro Don Milani, l'Associazione che aderisce a Libera ed organizza il Campo, ho conosciuto Mario Congiusta, di lui mi hanno colpito subito la determinazione e il coraggio.
Mario ci ha raccontato che la 'ndrangheta ha ammazzato suo figlio; lui dal quel giorno non si ferma mai, la sua vita è dedicata a raccontare cosa è la malavita organizzata, a far conoscere come agisce e dove si nasconde.
Mario parla di suo figlio morto a soli 32 anni, la fatica e il dolore sono evidenti, ma lui stringe i denti a va avanti perchè ogni morto ammazzato ha un nome, una storia e una famiglia che muore con lui:  quel nome e quella storia non si debbono dimenticare.
Dimenticarli è ammazzarli due volte, dice Mario, il loro sacrificio è la testimonianza del coraggio di guardare la mafia dritta negli occhi e dire no, chi cade combattendo la mafia strappa all'illegalità e al sopruso un pezzetto di libertà, per ognuno di noi.

Mario però non è triste, Mario è arrabbiato, indignato e fiero, combatte ogni giorno portando un sorriso per ognuno e dentro il suo dolore.

Oggi è il 22 luglio e si va in Aspromonte, alla Marcia della Memoria per le vittime della 'ndrangheta.

La marcia è organizzata da Libera, la lunga carrovana di mezzi si snoda lungo stradine impervie e sale passando in mezzo a San Luca: il centro del potere della ndrangheta in tutto il mondo.
Mario è venuto con il maggiolone giallo di Gianluca, ci sono tante associazioni che partecipano, siamo davvero tanti.

L'Aspromonte ci attende con la sua bellezza selvaggia e i picchi rocciosi che si alzano improvvisi e nudi sui pendii verdi, da lì seguiremo un percorso segnato dai nomi dei tanti morti ammazzati, fino a Pietra Cappa dove sono stati  ritrovati i resti dell'ultimo sequestrato ucciso: Lollo Carpisano.















Anna e Totò Fava
Anna e Totò Fava camminano vicini, lei ha i capelli grigi raccolti sulla nuca, portano ancora il lutto e il dolore negli occhi; hanno modi i semplici e cortesi dei contadini, i sorrisi sinceri, hanno portato al campo il caffè caldo nei thermos e i pasticcini, Totò offre orgoglioso anche le pere raccolte la mattina.
Quando Totò parla di Celestino le parole si spezzano in gola, Celestino aveva 22 anni e dice il padre era un ragazzo gioioso, è stato ammazzato a Palizzi dove abitava, la mattina del 29 novembre 1996, insieme a Nino Moio di 27 anni mentre erano a raccogliere la legna, sugli omicidi non è mai stata fatta luce.
Anna e Totò mi hanno stretto il cuore, forse è la loro semplicità a commuovermi o forse il sapere che hanno vissuto dieci lunghi anni senza uscire di casa, sopraffatti  e emarginati dal sospetto e dal pregiudizio della gente del loro paese, le indagini svolte non hanno avuto alcun esito ma hanno dimostrato in modo inconfutabile che Celestino era una persona onesta e completamente estraneo alla ndrangheta e ai suoi loschi affari.

Il percorso di montagna sale e scende, attraversa alcune fiumare, non tutte sono completamente asciutte.Non è facile camminare sotto il sole e ti rendi conto di quanto quel luogo sia isolato dal resto del mondo, capisci perchè era territorio indiscusso della 'ndrangheta.
Scorci bellissimi si aprono improvvisi sugli strapiombi e sui picchi rocciosi, Pietra Cappa imponente vigila su tutto il nostro cammino.
 

Deborah Carpisano racconta il grande amore che suo padre Lollò  le ha trasmesso per l'Aspromonte, oggi dopo il ritrovamentodei suoi resti è divenuto per lei un luogo sacro,
Lollo era un fotografo (era stato anche un giocatore di calcio della Reggina) che si è rifiutato di pagare il pizzo e  ha denunciato, fu sequestrato a il 22 luglio del 1993, di lui non si seppe più nulla, solo dieci anni dopo, la lettera aninima, forse del carceriere pentito indicò alla famiglia dove si trovavano i suoi resti, ai piedi di Pietra Cappa.
Deborah ci regala le parole del padre: "se ognunodi noi non fa la sua parte, se tutti vanno via a chi rimane questa Calabria?".

Mario Congiusta stringe tra le mani le racchette da trekking di Gianluca e ci racconta con forza la sua indignazione, ci grida che la stessa indignazione e la stessa rabbia devono essere nostre, a causa di una politica che è ambigua e un parlamento che lascia vuoti legislativi, fare la lotta alla mafia è difficile, ci dice, se non ci sono gli strumenti la battaglia è persa. La lotta alla mafia e per la legalità riguarda ognunodi noi, dobbiamo pretendere, ripete, che ognuno faccia la propria parte dobbiamo pretendere che lo stato e la politica siano dalla parte delle persone per bene. E' tanto arrabbiato Mario, racconta che il parroco di Rosarno solo due giorni fa chiamato a deporre in un processo contro la potente famiglia Pesce, ha dichiarato di esserne amico. Tutte le Istituzioni, tutta la Chiesa, e la società civile, grida, devono sapere da che parte stare.

Scendiamo lentamente, per quel po' di strada che rimane, in silenzio e con gli occhi lucidi, sotto il sole che non risparmia, ci accompagnano le cicale e i campani delle capre, nella testa rimangono le parole, i volti, le storie, proviamo a non dimenticare, proviamo a ricordare che tutto questo ci riguarda.


Per saperne di più:
http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1
http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5745
http://www.gianlucacongiusta.org/
http://www.stopndrangheta.it/stopndr/progetto.aspx
http://www.dasud.it/
http://www.donmilanigioiosa.com/





venerdì 20 luglio 2012

Pitigliano - Gioiosa Jonica: inizia il VIAGGIO - l'arrivo

Il viaggio, quello vero, o almeno quell'impareggiabile sensazione del viaggiare comincia solo quando l'aereo atterra nel piccolo aeroporto Internazionale di Lamezia Terme, il portellone si apre, io annuso l'aria e comincio a scendere ... metti i piedi in terra e sai che da lì comincia tutto.
Panoramica dell'aeroporto di Lamezia Terme
Aeroporto di Lamezia Terme

Lamezia è nell'assolata Piana di Sant'Eufemia e alle spalle ha colli e montagne, l'aria calda e umida ti investe subito appena si aprono le porte trasparenti degli "Arrivi" e ti butti nella trafficata strada che porta in centro; prendo di corsa il biglietto per il bus che va alla stazione.

In stazione decido: lo sportello o la biglietteria automatica? Quella automatica, faccio prima, tanto allo sportello c'è una signora che litiga con il bigliettaio già da un po', veloce faccio per digitare la destinazione sul monitor che ecco arriva un altro impiegato delle ferrovie che mi sposta cortesemente e mi chiede dove devo andare, così scopro che anche alla "macchinetta veloce per fare prima e non impegnare il personale" c'è un bigliettaio che fa i biglietti a tutti, e poi ti dice laconico che per andare a Catanzaro Lido c'è il bus, sostitutivo del treno, che è da novembre che la linea ferroviaria è interrotta per una frana.
Ok prendo il bus, anche per forza; mi accerto che mi porti alla stazione di Catanzaro per poi proseguire per Gioiosa.
Il tragitto dura circa un'ora, tra campi coltivati e riarsi, tra casette sperdute e paesi che spuntano improvvisamente dalla campagna ma che hanno tutti una stazione ferroviaria, beati loro.
Sul bus tanti Senegalesi e la brutta vicenda di Rosarno, di pochi anni fa mi torna alla mente; non è distante Rosarno da qui.

Stazione di Catanzaro Lido ore 16.20, giusti-giusti per il regionale per Gioiosa, binario due, tre vagoni, due di seconda e uno di prima, motrice diesel che quando parte sembra singhiozzi: inizia, di stazione in stazione, la sequela di paesi lungo la costa che si susseguono legati dal filo della spiaggia bianca e dal mare color smeraldo fino al blu cobalto.
Paesaggio dallo schema ripetitivo; immaginate in sequenza: il finestrino del treno scorre sul paesaggio come la pellicola di un film: baracche-casette-improbabili palazzi stile Hollywoodiano-scheletri di edifici mai terminati-casette-baracche-agrumeti-campi coltivati-canneti spiaggia bianca- dune-agavi, poi di nuovo baracche-casette-palazzi: un altro paese e così via.
La spiaggia libera, selvaggia e bellissima compare solo nell'intervallo di paesi e di costruzioni tanto per ricordarti come era e ora non lo è più.
Anche nei centri abitati la campagna tenta di riprendere il sopravvento e lo fa indisturbata tra asfalto e cemento: qui l'uomo e la natura hanno ingaggiato una lotta selvaggia per la contesa dello stesso spazio.
Dopo un'ora arrivo a Gioiosa Jonica, che nome! Mette già di buon umore;    G-I-O-I-O-S-A: come si fa ad essere tristi in un posto che si chiama così.

Giovanna



mercoledì 18 luglio 2012

Ospedale di Pitigliano e salute: alcune considerazioni e qualche suggerimento

Il documento che pubblichiamo è di un amico che da anni, nell'ambito del suo impegno politico, si occupa di sanità, ha chiesto di non comparire, ma valutando interessanti sia le argomentazioni che presenta sia la linea che suggerisce quale possibile soluzione alla vicenda del nostro Ospedale, abbiamo ritenuto utile farvela conoscere.


“Pitigliano e la Medicina Integrata
con una delibera del nov. 2008, il Consiglio Regionale toscano stabilisce di creare un Ospedale di Medicina Integrata a Pitigliano.
Individua un capitolo di spesa per il 2009 (3 milioni di euro) e rimanda il lavoro ad un gruppo di esperti (11 in tutto) per la definizione del progetto.
Il progetto elaborato risulta estremamente nebuloso per quanto concerne la parte organizzativa e la tutela del cittadino/utente particolarmente dopo la dimissione.

Non si ipotizza neppure dove e come medici di medicina accademica e medici della medicina alternativa si  integrino (in realtà la medicina complementare non si esprime al meglio, è attivata l’agopuntura e l’omeopatia, ma non la fitoterapia e le altre specializzazioni.
In verità il progetto in questione definisce come spendere i fondi: li spende essenzialmente in parcelle e consulenze:
  • utilizza medici e coordinatori (almeno 15 persone) senza fare riferimento alle modalità di selezione e assunzione;
  • prevede “i premi” per infermieri e medici di medicina generale non tenendo conto del contratto di lavoro e degli aspetti sindacali;
  • ipotizza ben tre coordinatori di “branca” che dovrebbero operare solo 4 ore settimanali con una remunerazione eccessiva;
  • accenna ad eventuali masters di medicina complementare presso le Università Toscane;
  • non tiene nessun conto le risorse locali. In tal modo si è entrati in conflitto con le organizzazioni sanitarie di Pitigliano (e di tutta la ASL.
  • non si tiene in alcun conto l'eventuale assistenza ambulatoriale dislocata almeno presso gli ospedali della provincia.


Non si conosce (almeno ufficialmente) il parere della Direzione Aziendale della ASL 9, della Regione e dello stesso Comune di Pitigliano sul progetto.
I cittadini non avvertono niente di positivo e paventando la chiusura dell'Ospedale manifestano il loro disappunto.

Vogliamo essere “con loro” e chiedere /esigere dalle autorità competenti che cosa prospettano oggi e domani?

Problema dei piccoli Ospedali

Il Piano Sanitario Nazionale. 2011/13 dichiara la necessità di avviare un processo di riconversione di questi presidi in nuovi modelli di offerta territoriale.
Si richiama la difficoltà effettiva dei piccoli ospedali a garantire livelli di assistenza adeguati a minimizzare i rischi per gli assistiti.
C'è da porre però, l'attenzione ai problemi ed i rischi che si potrebbero verificare durante la fase di transizione organizzativa.
Infatti, a fronte della disattivazione di quote di attività ospedaliera, vi è ragione di ritenere che il territorio non sia attrezzato a rispondere adeguatamente ai bisogni sanitari e socio-assistenziali, che non trovano più risposte a livello ospedaliero.
Valuto negativamente  la mancata realizzazione di un’efficace organizzazione, anche della Società della Salute, nelle diverse aree della Provincia.

È ben vero che, da studi condotti, si è evidenziato che ospedali con meno di 200 posti letto presentano diseconomie di scala e quindi in ragione di questa valutazione meramente economica appare più opportuno “ristrutturare” ed adeguare se non addirittura chiudere i piccoli ospedali. 
Ma si deve tenere ugualmente conto di quali risposte di “salute” si verrebbero, in tal caso ad offrire ai territori.

Diverse direzioni aziendali hanno manifestato ragionevoli dubbi circa l'effettiva assicurazione di livelli adeguati di assistenza e sicurezza ai cittadini residenti nei territori (Massa Marittima, Pitigliano Castel del Piano); d'altra parte là dove alcune soppressioni sono già avvenute come i punti nascita, non si è provveduto adeguatamente al riordino e al potenziamento dei servizi pre e post partum.

L'abbassamento dei livelli di assistenza ospedaliera (malgrado il tentativo di dirottare su Misericordia di Grosseto tutta una serie di utenti) nei piccoli ospedali conduce i cittadini verso l'assistenza sanitaria privata.
E' indispensabile che la direzione aziendale, le comunità locali, i responsabili della programmazione Regionale trovino il modo di eliminare e ridurre nel breve tempo, le disuguaglianze, sotto il profilo delle differenze ingiuste che si stanno acutizzando, in termini di accesso alle prestazioni sanitarie (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione) che poi determinano differenze ingiuste e ingiustificate in termini di salute.”
Lettera firmata

Abbiamo rivolto al nostro amico anche alcune domande:
OGM- Quali dovrebbero essere le caratteristiche di un Ospedale come il nostro, perché possa rispondere in modo efficace alla domanda di salute del territorio?
XX – Occorre disporre di un Pronto Soccorso adeguato e capace di affrontare alcune emergenze, con una buona diagnostica e servizi tempestivi per i trasferimenti nei casi che non possono essere trattati nello stesso, adesso con la piazzola dell’elisoccorso l’aspetto dell’emergenza urgenza è migliorato. Poi un buon reparto di medicina generale e ripeto la diagnostica è importante che sia di buon livello, il raddoppio dei letti nell’Ospedale di Comunità, e la medicina integrata che veramente si esprima per ciò che dovrebbe essere, cioè arricchire e affiancare, in una parola integrarsi con la medicina convenzionale per la cura del malato.

OGM- Quale sarà, secondo te il destino del nostro Opedale?
XX- nelle intenzioni della Regione non c’è la chiusura, ma cosa diventerà dipenderà molto dalle pressioni e dalla capacità delle comunità di sostenerlo, per comunità locali intendo i cittadini, le associazioni, le Amministrazioni, la politica.

OGM- Allora che dovremmo fare?
XX- Occorre parlare con la gente per far conoscere a tutti la situazione, poi tutti assieme, cittadini, Amministrazioni, associazioni… occorre elaborare proposte, occorre che il territorio esprima un progetto, l'idea di come vorrebbe l’ospedale, con realismo e tenendo conto di quello che oggettivamente e possibilmente si può avere in un presidio come il vostro, un progetto pragmatico che tenga conto dei bisogni reali della popolazione che vanno oltre il concetto di cura, ma che risponda all’esigenza di SALUTE, intendo quindi anche prevenzione, riabilitazione, sostegno e accompagnamento nelle diverse fasi della vita di un individuo.

OGM- L’Ospedale di Medicina Integrata può rappresentare per noi una chance in più?
XX- Assolutamente sì, ma solo se comincia a lavorare come dovrebbe, averlo a Pitigliano è per voi un’occasione unica, che altri piccoli ospedali toscani, con le stesse problematiche del vostro non hanno.
Faccio un esempio: pensate al problema emerso da un po’, denunciato anche dai vostri Sindaci e  relativo alla diminuzione dei ricoveri, se la Medicina Integrata funzionasse pienamente offrendo davvero un approccio integrato alla cura, all’Ospedale di Pitigliano mancherebbero i posti letto in Medicina per rispondere a tutte le richieste provenienti da ogni parte d’Italia, con un beneficio a ricaduta su tutti i servizi e le prestazioni ospedaliere.

OGM – Allora occorre ripartire da lì?
XX- Sicuramente, anche alla luce del fatto che il Presidente della Regione in persona tiene al progetto e che anche per il prossimo anno sarà rifinanziato.