Questo post non lo scrivo io, ma una mia omonima, Giovanna di Milano che ha raccontato con il cuore la conclusione del Campo, lascio a lei commentare, a lei che ha trovato le parole.
"tutti in cerchio intorno al monumento dedicato a Gianluca
Si è concluso il campo E!State Liberi 2012 al Don Milani dedicato a Gianluca Congiusta.
Lo abbiamo voluto chiudere nel posto dove a Gianluca è stata strappata la vita, alla stele che c’è in suo ricordo a Siderno.
Mentre in questi giorni sul bene confiscato con zappa, rastrello e pale abbiamo tolto l’erba cattiva è a lui che abbiamo pensato, a Gianluca e alle altre vittime della mafia. E allora dove non arrivava la pala o la zappa ci siamo messi con le mani a strappare le radici di quello che c’era prima sul bene confiscato a Rocco Schirripa, che ora invece si chiama “villa milani” ed è diventato casa nostra. E ci siamo messi anche col cuore a cercare di strappare da noi e da chi ci stava vicino pregiudizi, convinzioni sbagliate e resistenze.
Gianluca, Lollò, Rocco, Vincenzo, Giuseppe, Celestino… ci hanno aiutato loro a vincere le nostre resistenze, come ci hanno aiutato i loro cari, prendendoci per mano ed accompagnandoci in questi giorni, ci hanno aiutato Luca, Francesco, Salvatore, Mimmo, Elga, Sonia e Luigi con il loro esempio ed il loro lavoro ogni giorno al Don Milani e ci hanno aiutato tutte le persone che abbiamo incontrato durante il cammino con le loro testimonianze.
E’ con tutto questo nel cuore che siamo arrivati alla stele a Siderno, già emozionati.
Ci aspettavano lì, Mario e Donatella, il maggiolino giallo con il sorriso di Gianluca e poi Paola, Alessandro e il legale e amico della famiglia Congiusta.
Ci siamo presi tutti per mano e messi in cerchio, ad abbracciare quel luogo, ad abbracciare quello che rappresenta e il dolore di Mario, Donatella, Alessandra e Roberta.
Lo abbiamo fatto in silenzio, davanti alle macchine che ci sfilavano accanto.
Qualcuno insistentemente e con aria di sfida, qualcun altro si è fermato solo un istante per farsi il segno della croce e salutare Gianluca. E noi siamo rimasti lì, davanti a chi partecipava con noi al ricordo, ma anche e soprattutto davanti a chi ci stava sfidando, passando e ripassandoci accanto. Noi ci siamo e non abbiamo paura, l’ho detto a Donatella stringendole la mano un po’ più forte.
Non ci sono stati grandi discorsi, chi ha voluto ha detto un suo pensiero, ma ai più l’emozione ha impedito di parlare. Ci siamo tenuti stretti, guardando lo stesso punto, non riuscendo più a trattenere le lacrime che scivolavano giù silenziose dietro agli occhiali da sole.
E dentro quelle lacrime c’era tutto. Il dolore, la memoria, la stanchezza, la rabbia, il desiderio che il campo non finisca, la speranza di non perderci di vista… e poi quello che ognuno di noi ci ha messo di suo. Qualcuno si è rinnamorato della propria terra, qualcuno ha sentito che la sua vita è cambiata, qualcun altro che d’ora in poi non potrà più fare finta di niente, qualcuno ancora la paura di perdere tutto quello che di meraviglioso ha incontrato, o rincontrato, durante questo campo.
Per un istante ho provato a guardarci da fuori, 23 persone con le magliette uguali, che si tengono per mano attorno ad una stele e piangono. Se ridotto al semplice gesto sembrerebbe ridicolo.
A nessuno è venuto da ridere però.
Dopo diversi minuti Mario ci ha chiesto se avevamo voglia di far arrivare un applauso fino al cielo.
E finalmente abbiamo potuto farci sentire, che in molti durante quei minuti di silenzio avrebbero voluto gridare non riuscendoci. E così è partito un applauso lungo, denso, sentito.
Parte come uno scoppio, come una risata, liberatorio. E poi piano piano le mani iniziano a battere tutte allo stesso ritmo, come se stessimo cantando tutti una stessa canzone, sono le corde delle stesse emozioni che si stanno muovendo in ognuno di noi.
E’ un applauso che ci libera e ci avvicina, ci rende una cosa sola.
Un applauso che ha lo stesso suono dei colpi di pistola con cui la ‘ndrangheta uccide, un colpo secco, poi un altro, poi un altro ancora… i nostri colpi però vogliono riportare in vita, con il ricordo e l’impegno, ogni vittima di quelle che i loro ci hanno ucciso.
Quando dopo tantissimo l’applauso finisce ci ritroviamo tutti vicini, commossi e percorsi da mille emozioni.
Qualcuno si abbraccia, qualcun altro si unisce a quell’abbraccio e da 2 a 3 a 4 diventiamo in tanti lì, in un unico grande abbraccio, invitiamo ad unirsi a noi chi è rimasto fuori ed è così che ci siamo ritrovati, tutti, a stringerci forte, a piangerci sulle spalle, a sorridere, stretti cuore contro cuore.
Se ci fosse stata una colonna sonora per quel momento sono sicura che “Urlando contro il cielo” di Ligabue sarebbe stata perfetta… “IL PATTO E’ STRINGERCI DI PIU’, PRIMA DI PERDERCI, FORSE CI SENTONO LASSU, E’ UN PO’ COME SPUTARE VIA IL VELENO, URLANDO CONTRO IL CIELO…”
Ora siamo davvero tutti senza maschere, con il cuore allo scoperto, ci sentiamo fragili, è difficile parlare, ma certe cose di parole non hanno bisogno. Meglio agire.
Allora ci siamo presi per mano, e insieme a Mario ci siamo incamminati sul corso principale di Siderno, diretti alla gelateria.
Mario con la sua maglietta rossa e noi con le nostre azzurre, una specie di bellissimo corteo, il quarto stadio dell’antimafia. Ci hanno visto, ci hanno sentito, e soprattutto hanno visto ciò che volevamo dirgli. Noi siamo con Mario e la sua famiglia, siamo con Deborah, Stefania, Con i coniugi Fava, con i Tizian, siamo con il Don Milani e con chi ogni giorno su questo territorio lotta per la legalità e la giustizia. Ho provato una particolare soddisfazione quando il nostro piccolo corteo è passato sotto la sede di un giornale, con cui spesso ho avuto da ridire durante questi ultimi mesi, ho pensato che mentre loro dall’alto sparano sentenze e fango su chi la lotta alla mafia la fa davvero, noi eravamo concretamente vicini a Mario nel suo cammino, noi ci siamo sporcati le mani e abbiamo lavorato al bene confiscato, noi abbiamo davvero fatto qualcosa. Le chiacchere servono a poco e perdono subito valore davanti al peso dei fatti.
Le persone ci sorridono, alcune chi chiedono chi siamo, altre ci guardano male. A noi poco importa, siamo troppo orgogliosi di camminare li insieme a Mario davanti a tutti per abbassare lo sguardo anche solo un istante.
La serata poi è finita al Don Milani, con una grande, e come al solito buonissima, cena, con balli, canti e scherzi. Ci siamo fatti foto buffe seduti sui sanitari che abbiamo comprato per “villa milani”, la vita di questo bene confiscato parte da qui, dal lavoro di tanti mesi del Don Milani per ottenerlo, da quello nostro di questi giorni per ripulirlo e dagli autografi sul primo wc. Ci sono progetti bellissimi per questo bene confiscato, e noi che lo abbiamo visto nascere non vediamo l’ora di vederlo crescere e diventare una realtà grande. Lo accompagneremo per quanto ci sarà possibile, è casa di tutti noi.
Il campo non finisce qui, è un arrivederci, ne sono sicura, torneremo presto.
Liberi."
Giovanna Arcolacci