lunedì 29 agosto 2011
Alduino Bianchi era il mio vicino di casa quando ho abitato per un anno e mezzo in via Baldini.
Non lo conoscevo prima, dagli altri condomini avevo saputo che viveva con un figlio con problemi psichici.
Lo conobbi la mattina di Natale del 2006, quando suonai alla sua porta per fargli gli auguri, mi guardò dapprima sorpreso poi scoppiò in lacrime, mi disse che suo figlio era in ospedale e che era disperato e solo.
Tornai a trovarlo i giorni successivi, poi Mauro tornò.
Quando mi fermavo da lui mi parlava del passato, di quando faceva il bracciante, delle difficoltà con suo figlio, della malattia della moglie, morta anni prima.
Quando pulivo le scale mi sentiva, usciva sul pianerottolo e mi chiedeva se poteva darmi una mano.
Un giorno, era l’ora di pranzo, rientravo a casa, mi aspettava sulla porta, piangendo mi disse che Mauro era partito la mattina prima con l’autobus e non era ancora rientrato, al telefonino non rispondeva e lui non sapeva cosa fare.
Lo convinsi ad andare in caserma e così facemmo, il maresciallo lo ascoltò, lo rassicurò sul fatto che non avevano avuto nessuna segnalazione, di incidenti e cose varie e che lo avrebbero cercato.
La sera stessa suonò alla mia porta, era sorridente e sollevato mi disse che lo aveva trovato lui, suo figlio, aveva telefonato ai vari ospedali della provincia e a furia di bestemmiare aveva avuto notizie, era all’ospedale di Grosseto, si era fatto ricoverare perché stava male.
Alduino lo ricordo come una persona fragile e gentile, che però non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, aveva imparato a lottare in solitudine.
Era un vecchio Alduino, vecchio, solo e con un figlio malato.
È morto per mano di quel figlio che accudiva e che amava, tutto si è consumato in poco tempo, al chiuso di quelle mura, lui lì da solo con suo figlio impazzito.
Giovanna Pizzinelli
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